Kevin Carter, cronista e fotografo, era testimone delle immagini orribili che la carestia stava provocando. In quell'anno Carter si era addentrato nella boscaglia che costituiva il paesaggio del Sudan e la sua fortuna, o sfortuna lo fece imbattere in flebili lamenti, che provenivano da un fagottino a terra. Era una bambina, una vittima della rabbia e del potere dell'uomo, si trascinava nella polvere arrancava, stremata, affamata e sola.
Poco distante era volato un avvoltoio che seguiva con attenzione il corpocino stremato e aspettava paziente a ogni suo rantolo.
Carter aveva il cuore e le ambizioni del giornalista, il suo imperativo era "documentare, a ogni costo!"
Fece la foto che lo rese famoso, che gli fece conquistare il premio Pulitzer, poi scacciò l'uccello.
Alle domande seguenti, Carter non rispose mai sul destino della bambina. Nessuno sa che fine fece. Ma visse come un incubo insieme agli orrori del Sudan nella mente del fotografo.
La notte del 28 luglio del '94 Carter fissò alla marmitta del suo pick-up un tubo di gomma fino a farlo scendere nell'abitacolo, salì in macchina e avviò il motore.
Lasciò un biglietto che citava:
"The pain of life overrides the joy to the point that joy does not exist"
Il dolore della vita prevale la gioia, al punto che la gioia non esiste
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